L’Italia vive in una campagna elettorale che non finisce mai. Ogni giorno è un nuovo slogan, un annuncio, un gesto simbolico studiato per i titoli dei giornali e le clip televisive. Un circo che si ripete, come se governare fosse solo una gara a chi inventa la battuta più efficace. Manca la sostanza, manca la visione: resta solo la scena.

Paradossalmente, c’è chi arriva a rimpiangere persino i tempi di Silvio Berlusconi, che è padre di tutto questo e che ha aperto la strada a questo tipo di politica. 
Ai suoi tempi il problema era soprattutto personale, legato alle aule di tribunale e ai processi che lo inseguivano. L’Italia andava alla deriva senza un vero timoniere, ma si era in mare aperto, e soprattutto calmo. Oggi il contesto è molto più drammatico: guerre in Medio Oriente ed Europa, genocidi che si consumano sotto i nostri occhi, sovranismi che si rafforzano nei punti più delicati del mondo, e perfino l’ombra concreta di un conflitto nucleare. E noi? Sempre a rincorrere il consenso del giorno, tra dirette social e comizi improvvisati.

Nel frattempo, in casa nostra, la forbice sociale si allarga. Chi fatica ad arrivare a fine mese sostiene sulle spalle l’intero sistema, mentre chi ha già molto accumula ancora di più. È la regola di chi governa con ricette facili: punire i fragili e piegarsi ai potenti. La politica diventa un teatrino che colpisce chi non ha voce e si inchina a chi comanda davvero: le grandi corporation, i salotti finanziari, gli interessi organizzati che decidono senza mai esporsi.

Eppure, il compito di qualsiasi governo dovrebbe essere uno solo: rimettere la persona al centro. Difendere chi lavora, chi cresce i figli, chi vive con una pensione minima, chi ogni giorno costruisce questo Paese. Non certo inchinarsi ai grandi gruppi economici o alle logiche dei palazzi della finanza.

Il consenso, però, oggi si costruisce diversamente: non con risposte reali, ma con la paura. Si inventano nemici, si ingigantiscono problemi, si alimentano timori quotidiani. Poi, con un controllo ferreo dei media attraverso nomine e pressioni, quella paura viene amplificata e diffusa, fino a sembrare verità.
Il risultato è una società anestetizzata. Gli anziani, bombardati dalla televisione, ripetono a memoria le formule del governo. I giovani, immersi nei social, scivolano tra cinismo e apatia. L’unico momento di risveglio arriva al supermercato, davanti a un carrello che costa il doppio. Ma dura poco: una lamentela in coda alla cassa e subito dopo cala di nuovo il silenzio.

Così l’Italia resta immobile, ostaggio di una campagna elettorale senza fine. Un Paese che non decide, non riforma, non guarda al futuro. Che preferisce la propaganda al coraggio, la scenografia alla sostanza.

Un governo serio dovrebbe mettere al centro le persone comuni, non i potentati invisibili che da decenni dettano l’agenda.

Perché governare non significa inventarsi slogan, ma dare risposte. E l’Italia non ha bisogno di un altro palco, ma finalmente di un timone.