Qualche settimana fa, con Barbara Napolitano, ho avuto l’onore di lavorare al concerto tributo per Pino Daniele in Piazza del Gesù. Io ero dietro le quinte, a cavallo tra passato e presente, con la videocamera puntata sulla memoria, e l’intelligenza artificiale tra le dita come uno scalpello digitale. Montavo, rielaboravo, cercavo l’anima di un tempo che non c’è più. O meglio: che ogni tanto torna.
Tra le tante immagini che ho provato a ricreare, ce n’è una che mi ha toccato in modo profondo. Non era perfetta. Era, anzi, uno scarto. Un errore generato dall’AI che non riusciva a restituire un volto fedele a Pino Daniele. Ogni volta ci girava intorno, gli assomigliava appena, ma non lo coglieva mai davvero. Come se Pino non volesse essere copiato, come se la sua essenza restasse, giustamente, inafferrabile.
Eppure, da quello “scarto”, è nato qualcosa di prezioso.
Una scena: Roma, 1976.
Pino Daniele, Dorina Giangrande e Claudio Poggi escono dall’Hotel Romano.
Stanno andando in studio. A registrare il primo disco.
Terra Mia.
Quel giorno, prima della storia
Rivedere, anche solo in forma generata, quell’istante, mi ha colpito come uno schiaffo dolce.
È il momento in cui prende forma la storia, ma nessuno dei tre lo sa.
È un giorno qualsiasi.
È tutto ancora possibile.
È ancora tutto fragile, ingenuo, puro.
Pino in quella foto non è ancora Pino Daniele. Non è ancora il cantautore che troverò qualche anno dopo in tutte le case, nei salotti intellettuali, nelle auto, nei mangianastri portatili degli amici.
È un ragazzo. Un ragazzo con una chitarra, qualche idea in testa e un dialetto che si appresta a diventare lingua poetica.
E accanto a lui c’è Dorina. Dorina Giangrande.
Dorina: voce, compagna, madre, musa
Nata nel cuore di Napoli, Dorina non era solo la moglie di Pino, ma una delle sue prime, fondamentali collaboratrici. La sua voce — calda, profonda, piena — compare nei cori di Terra Mia, insieme a quelli di Donatella Brighel. È una voce che abbraccia, che sostiene, che accompagna.
Dorina era lì quando tutto cominciava.
E continuerà ad essere presente nella musica di Pino anche dopo: nel 1991, ad esempio, nel disco Un uomo in blues.
Con Pino ha avuto due figli, Alessandro e Cristina. Cristina, in particolare, è stata ispirazione per due canzoni che ancora oggi commuovono: “Putesse essere allero” e “Ninnannannaninnanoè”. Brani che raccontano la tenerezza, la vulnerabilità, l’amore puro.
Il loro matrimonio finì negli anni ’90, ma Dorina restò una figura centrale nella vita e nel mondo sonoro di Pino. Un ponte tra la vita personale e quella artistica. Un filo, mai spezzato, tra il cuore e la musica.
Guardando oggi quella foto
Guardare oggi quella foto, anche se solo evocata digitalmente, è come entrare in un sogno al rallentatore.
Vedo Pino che sorride, timido.
Claudio Poggi che cammina accanto a lui, inconsapevole di stare dando forma a un capolavoro.
E Dorina, lì vicino, con quello sguardo che sembra sapere già tutto, anche se non dice niente.
Quella immagine, per me, ha uno spessore altissimo.
Non è nostalgia. È consapevolezza.
È il valore di un momento prima che il mondo cambi.
Prima che la musica diventi mito.
Prima che la voce diventi memoria.
Nel video che accompagna questo post, ho cercato di restituire quell’attimo. Non l’ho trovato con precisione, e forse non era nemmeno necessario. Perché certe presenze — come quella di Pino, come certe vibrazioni nella voce di Dorina — non si possono imitare. Non si possono sintetizzare. Solo evocare.
E ricordare.
Sempre.