Ci sono progetti che non sono solo lavoro.
Sono sfide, immersioni totali, esperienze che ti cambiano.
“Je sto vicino a te – Forever”, trasmissione speciale dedicata a Pino Daniele andata in onda su Rai 3 il 5 aprile 2025, è stato tutto questo. E molto di più.

Non avrei potuto affrontarlo da solo.
Perché dietro ogni immagine, ogni composizione visiva, ogni scelta narrativa, c’è stato un team eccezionale: appassionato, competente, instancabile. Ognuno ha dato tutto ciò che poteva – spesso anche di più – per far sì che questa visione diventasse reale.

Personalmente, ho lavorato su ogni aspetto visivo: montaggio, videomaking, videocomposizione, intelligenza artificiale, sperimentazione e finezza tecnica. Sedici ore al giorno per quindici giorni consecutivi. Una corsa contro il tempo, soprattutto dopo l’anticipo della messa in onda dal 20 al 5 aprile. Ma in quella corsa non ero solo: c’erano mani e cuori al mio fianco. E questo ha fatto la differenza.

Ma non è andato tutto liscio.

C’è stato un momento, durante la realizzazione, in cui qualcosa ha vacillato. Un inciampo imprevisto, una crepa che mi ha tolto il fiato e che ha fatto traballare le certezze. Non riuscivo a godermi il risultato, anzi: mi ci sono perso dentro, con la sensazione di non aver più il controllo su ciò che avevo creato. È stato un momento buio, in cui la fatica accumulata ha lasciato spazio allo smarrimento e al dubbio profondo.

Poi, col tempo, è emersa una forma di verità. O, forse, un compromesso accettabile tra ciò che avevo immaginato e ciò che alla fine è arrivato al pubblico. Quello che avevo costruito con cura estrema, con le mani tremanti e le idee chiarissime, conservava il senso, la coerenza, l’intenzione.

E in quel momento, qualcosa si è sciolto. Non la fatica, non la stanchezza, ma il nodo in gola. Perché avevo fatto la cosa giusta. Anche se non me ne ero potuto accorgere subito.

Il lavoro con l’AI è stato un viaggio nel futuro, ma vissuto con tutte le fragilità del presente. Ogni scelta visiva, ogni passaggio di montaggio, ogni composizione aveva una sua anima. Non c’era nulla di meccanico, nulla di freddo. Solo ore e ore di attenzione, sensibilità e passione.
Il risultato è qui, visibile a tutti:
🔗 Guarda “Je sto vicino a te – Forever” su RaiPlay

Racconto tutto questo perché ho bisogno di ricordarlo, prima che svanisca tra le mail, i prossimi incarichi, la stanchezza cronica.
Questa non è solo una trasmissione.
È una testimonianza collettiva. È il frutto di uno sforzo comune, di una visione portata avanti da persone diverse, con sensibilità diverse, ma unite da un intento profondo.

È stato difficile.
È stato tutto.
E ne è valsa la pena.


Voci nel Vento

«Voci nel Vento»: palloncini azzurri e messaggi nel cielo per l’autismo La commovente iniziativa vede famiglie e bambini scrivere messaggi di speranza e affidarli a palloncini azzurri, liberati insieme nel cielo. Un gesto d’amore e condivisione per dare voce all’autismo in vista della Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo (2 aprile). Napoli, 2 aprile 2025 – In questi giorni, in varie città italiane, famiglie e bambini si sono riuniti per dare vita all’iniziativa «Voci nel Vento». La scena, semplice e carica di emozione, vede genitori e figli scrivere su piccoli fogli messaggi di speranza dedicati all’autismo. Questi bigliettini vengono poi legati a palloncini azzurri – il colore simbolo dell’autismo – e, a un segnale condiviso, i palloncini vengono liberati, innalzandosi insieme nel cielo terso. I messaggi, affidati al vento, volano così sopra le città come voci che finalmente si fanno sentire. La potenza di questo gesto simbolico è immediatamente percepibile da chi vi assiste. Ogni palloncino che vola via porta con sé un pensiero, una “voce” silenziosa che ora può parlare al mondo. L’obiettivo è rendere visibile l’invisibile e dare voce all’autismo attraverso l’amore e la condivisione. Pensieri che solitamente restano nel privato – nel silenzio di tante famiglie che vivono la quotidianità dell’autismo – diventano improvvisamente visibili a tutti, librandosi sopra le nostre teste. I messaggi nel cielo simboleggiano le tante voci delle persone nello spettro autistico e dei loro cari, voci che troppo spesso rimangono inascoltate. In questo modo ciò che prima era invisibile agli occhi della comunità viene reso tangibile e impossibile da ignorare. L’iniziativa «Voci nel Vento» acquista un significato ancora più profondo in vista del 2 aprile, Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo. Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2007​ AUTISMO.IT , questa ricorrenza annuale richiama l’attenzione sui diritti e i bisogni delle persone con autismo in tutto il mondo. Alla vigilia di questa giornata, il volo simultaneo dei palloncini azzurri in tante città rappresenta un messaggio condiviso di consapevolezza e speranza. Il colore azzurro che tradizionalmente illumina monumenti e piazze il 2 aprile – scelto come simbolo internazionale dell’autismo – riecheggia nei palloncini di «Voci nel Vento», unendo idealmente le comunità locali a quella globale in un’unica voce per l’autismo. La partecipazione a questa campagna di sensibilizzazione è aperta a tutti. I promotori invitano cittadini, istituzioni, scuole e associazioni ad unirsi al volo simbolico di Voci nel Vento e a farsi portavoce del messaggio di inclusione che esso rappresenta. Ognuno può dare il proprio contributo per accrescere la consapevolezza sull’autismo, in molti modi diversi. Ad esempio, in occasione del 2 aprile ciascuno può: Partecipare alle iniziative organizzate sul territorio in occasione della Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo, prendendo parte attiva agli eventi e ai flash mob dedicati. Condividere sui social network e nei propri ambienti i messaggi di Voci nel Vento, diffondendo la consapevolezza e testimoniando il proprio supporto alle famiglie e alle persone autistiche. Sensibilizzare la comunità parlando di autismo con amici, colleghi e familiari, per promuovere comprensione, rispetto e inclusione verso le persone nello spettro autistico. Per le famiglie coinvolte, vedere i propri messaggi alzarsi in volo significa sapere di non essere sole. La liberazione simultanea di decine di palloncini azzurri dimostra che la società può e vuole ascoltare: il loro gesto mostra a tutti noi che ciascuna di quelle voci conta. Il 2 aprile, quelle voci nel vento ci ricordano che comprensione e solidarietà iniziano da gesti semplici ma condivisi. Insieme, rendiamo visibile l’invisibile: un palloncino azzurro alla volta, diamo voce a chi non può esprimerla e costruiamo una comunità più consapevole, inclusiva e unita.

La canzone “Soldier’s Eyes” di Jack Savoretti ha acquisito notorietà particolare grazie al suo utilizzo nella serie TV “Sons of Anarchy”. Ecco gli elementi più interessanti di questa storia:

Nel 2012, il brano venne incluso nell’episodio 2 della stagione 5 di Sons of Anarchy, intitolato “Authority Vested”. L’inserimento della canzone nella serie si rivelò un momento decisivo per la carriera di Savoretti, tanto che per un giorno il brano raggiunse il primo posto nella classifica americana di Amazon.

La canzone stessa è una ballata folk intensa che parla della prospettiva di un soldato, delle sue esperienze e del suo sguardo sul mondo. I temi della canzone – il peso delle responsabilità, il confronto con la violenza, la perdita dell’innocenza – si allineavano perfettamente con le tematiche della serie.

Le lyrics più significative includono:
“I am a soldier, I fight where I am told
And I’ve killed where I am told, in the name of God and country”

La produzione è volutamente minimalista, caratterizzata principalmente dalla voce ruvida di Savoretti e da una chitarra acustica, che contribuiscono a creare un’atmosfera intima e riflessiva.

L’impatto di Sons of Anarchy sulla visibilità del brano è stato notevole. La serie, che all’epoca era uno degli show più seguiti su FX, ha permesso a Savoretti di raggiungere un pubblico americano molto più ampio. Questo successo improvviso su Amazon dimostrò il potere delle sincronizzazioni televisive nel lanciare artisti indipendenti.

Il brano proviene dall’album “Before the Storm” (2012), che segnò un punto di svolta nella carriera di Savoretti, aiutandolo a stabilirsi come artista di rilievo nel panorama folk-rock internazionale.

C’è qualcosa di magnetico in Jack Savoretti, un fascino che va oltre la sua voce ruvida e profonda. Forse è quel perfetto equilibrio tra le sue radici italiane e la sua educazione britannica, o forse è la storia straordinaria che si cela dietro la sua famiglia. Nato a Londra nel 1983 come Giovanni Edgar Charles Galletto Savoretti, Jack incarna la perfetta fusione tra due mondi.

Una Storia Familiare da Romanzo

Il DNA artistico di Jack è intriso di storia e resistenza. Suo padre, Guido, ha una storia che sembra uscita da un film: lasciò Genova per l’Inghilterra dopo essere stato testimone di una rapina, temendo ritorsioni. Non prima però di aver recitato in due film di Duccio Tessari, tra cui “Zorro”.

Sua madre, Ingrid Hepner

Sua madre, Ingrid Hepner, era una modella del vibrante jet set londinese degli anni ’60 e ’70, con radici che attraversano Germania, Polonia e tradizione ebraica.

Jack Savoretti

Ma è forse la storia di suo nonno paterno, Giovanni Savoretti, a essere la più emblematica: medico e partigiano, fu tra i firmatari della liberazione di Genova dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Un’eredità di coraggio che oggi viene ricordata con una via a suo nome a Lavagna e una targa commemorativa in Via XX Settembre a Genova.

L’Evoluzione Musicale: Da Promessa a Star

Gli Esordi e la Ricerca della Propria Voce

Il viaggio musicale di Savoretti inizia quasi per caso. Nel 2005, la sua prima apparizione professionale avviene nell’album di Shelly Poole, dove duetta nei brani “Anyday Now” e “Hope”.

Ma è nel 2006 che fa il suo vero debutto con “Without”, un singolo il cui video, girato a Maiorca, viene diretto da un regista nominato agli Oscar, Bobby Garabedian.

Between The Minds: Il Primo Passo

Il suo album di debutto, “Between The Minds” (2007), rivela già le caratteristiche che lo renderanno unico: testi profondi, melodie intense e quella voce inconfondibile che il Daily Telegraph definirà “ruvida, profonda e nostalgica”. L’album ottiene il sostegno di BBC Radio 2 e debutta al quinto posto nelle UK Indie Charts.

La Svolta con Before the Storm

Dopo “Harder Than Easy” (2009), è con “Before the Storm” (2012) che Savoretti trova la sua vera dimensione artistica. Prodotto da Martin Terefe e registrato con la sua band The Dirty Romantics, l’album segna un punto di svolta. È in questo periodo che “Soldiers Eyes” viene inserito nella serie “Sons of Anarchy”, portandolo per un giorno in cima alle classifiche Amazon negli USA.

L’Ascesa Internazionale

“Written in Scars” (2015) rappresenta la sua consacrazione internazionale. L’album, che vede la collaborazione dell’autore Samuel Dixon (noto per il suo lavoro con Sia e Adele), mostra un artista maturo che sa fondere folk, rock e cantautorato. Il successivo “Sleep No More” (2016) consolida ulteriormente la sua posizione nel panorama musicale internazionale.

Le Collaborazioni: Un Ponte tra Culture

La capacità di Savoretti di muoversi tra diversi mondi musicali si riflette nelle sue collaborazioni:

  • Con Elisa ha creato “Waste Your Time on Me”, un duetto che fonde perfettamente le loro voci
  • Il duetto con Kylie Minogue in “Music’s Too Sad Without You” mostra la sua versatilità
  • La collaborazione con MIKA in “Ready to Call This Love” evidenzia la sua capacità di adattarsi a diversi stili
  • Il recente duetto con Natalie Imbruglia in “Ultime Parole” segna il suo primo brano in italiano

L’Eredità Musicale e le Influenze

Il suo stile musicale è un mosaico di influenze diverse:

  • Dal folk americano di Bob Dylan ha ereditato l’arte dello storytelling
  • Da Paul McCartney e Simon & Garfunkel la sensibilità melodica
  • Da Serge Gainsbourg la sofisticatezza europea
  • Da Lucio Battisti e Fabrizio De André la profondità della tradizione cantautorale italiana

Il Presente e il Futuro

Il 2024 segna un nuovo capitolo nella carriera di Savoretti. La sua partecipazione al Festival di Sanremo con Diodato, interpretando De André, e la collaborazione con Zucchero per una nuova versione di “Senza una donna” mostrano un artista che abbraccia sempre più le sue radici italiane. Il suo nuovo album “Miss Italia” promette di essere un ponte ancora più solido tra le sue due anime culturali.

L’Uomo Oltre l’Artista

Oggi Jack vive nell’Oxfordshire con la moglie Jemma Powell e i loro tre figli, ma mantiene un legame profondo con l’Italia. La sua passione per il Genoa, le frequenti esibizioni in Italia e l’uso fluente della lingua italiana testimoniano un attaccamento che va oltre la semplice eredità familiare.

Jack Savoretti rappresenta l’embodiment perfetto del musicista contemporaneo: cosmopolita ma radicato, innovativo ma rispettoso della tradizione, internazionale ma profondamente legato alle proprie origini. La sua musica continua a evolversi, ma mantiene sempre quella autenticità che l’ha reso uno degli artisti più interessanti della sua generazione.

Grace Jones: La Regina Indomabile della Cultura Pop

Nel panorama della cultura pop, poche figure incarnano l’audacia e l’innovazione come Grace Jones. Modella, cantante, attrice e icona di stile, Jones ha ridefinito i confini dell’arte e dell’identità con una forza che ancora oggi lascia il mondo senza fiato.

Nata a Spanish Town, Giamaica, nel 1948, Beverly Grace Jones cresce in un ambiente rigido e religioso prima di trasferirsi a New York con la sua famiglia. È proprio qui che la sua metamorfosi ha inizio, trasformandola da timida studentessa in forza della natura che avrebbe conquistato il mondo della moda e della musica.

La Rivoluzione dello Stile

Nei primi anni ’70, Grace esplode nella scena fashion parigina come un fulmine a ciel sereno. Con il suo fisico androgino, la pelle ebano e quell’taglio flat-top, diventa inconfondibile la musa di Yves Saint Laurent e Claude Montana. Il suo look non era semplicemente “diverso” – era rivoluzionario. Il fotografo Jean-Paul Goude, suo collaboratore e compagno, contribuisce a creare quell’immagine surreale e futuristica che diventerà il suo marchio di fabbrica.

Regina dei Nightclub

La sua transizione alla musica è altrettanto dirompente. Nel 1977, Jones firma con la Island Records e conquista le discoteche con hit come “La Vie en Rose”, “Pull Up to the Bumper” e “Slave to the Rhythm”. Ma non è solo musica: i suoi concerti sono performance art totali. Chi può dimenticare le sue esibizioni in cui cantava “Corporate Cannibal” coperta di vernice argentata, o quando si esibiva facendo hula-hoop per intere canzoni?

“Slave to the Rhythm” è una pietra miliare della musica degli anni ’80, con una storia di produzione affascinante.

Il brano fu prodotto nel 1985 da Trevor Horn, già famoso per il suo lavoro con i Frankie Goes to Hollywood e gli Art of Noise. La produzione fu incredibilmente elaborata: ci vollero tre mesi di registrazione e si dice che il costo totale superò le 300.000 sterline (una cifra enorme per l’epoca).

Horn adottò un approccio quasi maniacale alla produzione. La versione base della canzone è stata registrata più di 150 volte e Grace Jones ha registrato la voce ripetutamente, anche se alla fine Horn ha utilizzato principalmente la prima take. L’aspetto interessante è che queste registrazioni multiple non furono sprecate: divennero la base per un intero album, sempre intitolato “Slave to the Rhythm”, dove ogni traccia è una diversa interpretazione della stessa canzone.

La batteria è stata suonata da Ian McIver e registrata ai Sarm West Studios di Londra. Il suono percussivo caratteristico fu ottenuto utilizzando uno dei primi campionati digitali, il Fairlight CMI, che era all’avanguardia per l’epoca.

Il basso fu suonato da Bruce Smith e Andrews Newmark, mentre i sintetizzatori furono programmati da Andy Richards e Luis Jardim contribuirono alle percussioni. La sezione di fiati fu arrangiata da Gary Maughan.

Un elemento chiave della produzione fu l’uso innovativo del campionamento. Horn ha utilizzato frammenti di dialoghi, effetti sonori e persino parti di altre canzoni, creando un collage sonoro complesso che era molto avanti per i suoi tempi. La voce di Jones fu trattata come uno strumento, tagliata e riassemblata per creare nuovi pattern ritmici.

La canzone raggiunse la #12 posizione nella UK Singles Chart e divenne uno dei pezzi distintivi di Grace Jones, rappresentando perfettamente la fusione tra arte pop, musica dance e avanguardia che caratterizzava il suo lavoro in quel periodo.

Nel corso degli anni, “Slave to the Rhythm” è diventata non solo un classico della musica dance, ma anche un esempio studiato di produzione musicale innovativa, dimostrando come la tecnologia potesse essere utilizzata creativamente per spingere i confini della musica pop.

Diva Senza Compromessi

Gli aneddoti sulla sua personalità sono leggendari quanto le sue performance. Come quando si presentò a un talk show televisivo schiaffeggiando ripetutamente il presentatore Russell Harty per averle dato le spalle, o quando arrivò al suo stesso compleanno in topless, cavalcando un cavallo rosa attraverso Studio 54. Ma dietro questi gesti teatrali si nasconde una profonda comprensione dell ‘arte della provocazione e del potere dell’immagine.

L’Eredità di un’Icona

L’influenza di Grace Jones sulla cultura contemporanea è impossibile da sovrastimare. Da Lady Gaga a Rihanna, da FKA Twigs a Janelle Monáe, generazioni di artisti hanno tratto ispirazione dalla sua audacia nel sfidare le norme di genere e razza. Il suo memoir del 2015, “I’ll Never Write My Memoirs”, rivela una donna consapevole del suo impatto: “Ho visto troppi cloni, troppi imitatori. Io sono l’originale.”

Oggi, a più di quattro decenni dall’inizio della sua carriera, Grace Jones rimane un simbolo di fierezza artistica e autenticità selvaggia. La sua arte continua a sfidare le convenzioni, il suo stile continua a ispirare, e la sua presenza continua a elettrizzare ogni spazio che occupa.

Non è solo un’artista: è un fenomeno culturale che ha dimostrato come la vera ribellione non stia nel rifiutare le regole, ma nel creare le proprie. In un’epoca di conformismo digitale, la sua individualità granitica brilla più che mai, ricordandoci che la vera libertà sta nell’essere ferocemente se stessi.

Come lei stessa ha detto: “Non mi adatto alla società. La società deve adattarsi a me.” E il mondo non potrebbe essere più grato per questa sua intransigenza.

Scandalo al sole – quella melodia che ha segnato l’estate della nostra infanzia e della nostra giovinezza, era una colonna sonora per sogni che non ci appartenevano, ma che ci facevano immaginare. Un’estate incastonata tra i sorrisi misteriosi di Brigitte Bardot, Sophia Loren , personaggi che sembravano danzare su spiagge incantate, sospesi in una felicità malinconica, consapevoli che il sole, presto o tardi, sarebbe tramontato anche su di loro. Avevamo una radio a transistor a batteria, dove ogni tanto suonavano gli Intilimani con il loro caratteristico flauto traverso, Serge Gainsbourg & Jane Birkin con Je t’aime… moi non plus, Claudio Baglioni con E tu, Mina, Lucio Battisti… e ogni tanto arrivava A summer Place a ricordarci che altrove esisteva un’altra estate, più felice, talmente felice da diventare malinconica perchè la felicità non dura mai toppo a lungo.

Noi, con i nostri abiti di cotone leggero e le radio che gracchiavano in sottofondo, sognavamo quelle estati dorate: Capri con le sue grotte segrete, Portofino che brillava di eleganza e mistero, e la Riviera dei Fiori, profumata di promesse lontane. Erano luoghi che abitavano le riviste patinate e i cinema all’aperto, ma per noi restavano come dipinti da ammirare dietro una vetrina.

Intanto, con la nostra piccola 600, ci avventuravamo verso Licola o Varcaturo. Carichi di ombrelloni, borse di paglia e quel profumo di crema solare che ancora oggi ci riporta lì, sotto un cielo azzurro che per noi era il più bello del mondo. Non c’erano yacht, ma secchielli e palette. Non c’erano resort di lusso, ma il gusto semplice di una frittata di maccheroni e un’anguria tenuta fresca nella borsa termica. Il lido si chiamava L’oasi del mare, esiste ancora, qualche volta sono passato da quelle parti a raccogliere un po di nostalgia ma non c’era più quella magia, e gli spazi pur essendo gli stessi, mi sembravano diversi.

In quelle giornate c’era una magia unica, un senso di libertà fatto di piccole cose. La pelle scaldata dal sole, la promessa di un gelato al ritorno, quei tramonti bellissimi.

La musica di Scandalo al sole ci faceva sognare, ma anche insegnava qualcosa: che la bellezza sta nei momenti che viviamo, ovunque ci troviamo. Che la malinconia del “prima o poi finirà” è la stessa ovunque, su una spiaggia di Portofino o su quella di Varcaturo. Ed è proprio quella consapevolezza che rende tutto più prezioso, più autentico.

Hiromi Uehara: La straordinaria pianista giapponese che ha conquistato il mondo del jazz

Hiromi Uehara, conosciuta semplicemente come Hiromi, è una delle pianiste jazz più talentuose e acclamate a livello internazionale. Nata il 26 marzo 1979 a Shizuoka, Giappone, Hiromi si è distinta non solo per il suo virtuosismo tecnico, ma anche per la capacità di fondere generi e stili musicali, rendendola una figura di spicco nella scena jazz contemporanea.

Biografia

Hiromi ha iniziato a suonare il pianoforte all’età di sei anni, dimostrando fin da subito un talento eccezionale. A sette anni entrò nella prestigiosa Yamaha School of Music, dove perfezionò le sue abilità e sviluppò una comprensione profonda della musica. Già a dodici anni si esibiva con orchestre di alto livello, mostrando una maturità musicale sorprendente per la sua giovane età.

A soli quattordici anni, Hiromi fu invitata a suonare con l’Orchestra Filarmonica Ceca, un’esperienza che segnò uno dei suoi primi successi internazionali. Ma uno degli incontri che avrebbe influenzato profondamente la sua carriera fu quello con il leggendario pianista Chick Corea, a diciassette anni. Corea, colpito dal suo talento, la invitò a esibirsi insieme a lui in un concerto a Tokyo, un evento che le diede visibilità internazionale.

Nel 1999, Hiromi si trasferì negli Stati Uniti per frequentare il rinomato Berklee College of Music a Boston. Si laureò con il massimo dei voti nel 2003, segnando l’inizio di una carriera brillante. Durante il suo percorso alla Berklee, incontrò il famoso pianista Ahmad Jamal, che divenne il suo mentore e contribuì a rafforzare il suo stile musicale.

Stile

Il talento di Hiromi si esprime attraverso uno stile unico, che fonde jazz, musica classica, rock e influenze elettroniche. La sua tecnica impeccabile è arricchita da una sorprendente energia e inventiva, che emergono nelle sue esibizioni dal vivo. Le sue composizioni sono caratterizzate da cambi di ritmo complessi, armonie sofisticate e una capacità innata di improvvisazione.

Produzione musicale

Hiromi ha prodotto una serie di album acclamati dalla critica, sia come solista che in collaborazione con altri artisti. Tra i suoi lavori più noti ci sono “Another Mind” (2003), “Time Control” (2007) e “Spark” (2016). Ogni album riflette la sua continua esplorazione musicale e il desiderio di spingersi oltre i confini del jazz tradizionale.

Strumenti

Il pianoforte è lo strumento prediletto di Hiromi, e lo suona con una precisione e una passione che catturano l’attenzione del pubblico. Spesso utilizza anche tastiere elettroniche, combinando suoni acustici ed elettrici per creare atmosfere uniche.

Vita privata

Il 1º settembre 2007, Hiromi si è sposata con il designer Yasuhiro Mihara, mantenendo però una discreta riservatezza sulla sua vita personale, preferendo concentrarsi sulla sua carriera musicale.

Conclusione

Hiromi Uehara è una delle figure più innovative e apprezzate della scena jazz mondiale. La sua capacità di trascendere i generi, unita a una straordinaria abilità tecnica e a una forte personalità artistica, l’ha resa una delle pianiste più influenti del nostro tempo. Con una carriera che continua a evolversi, Hiromi rappresenta una fonte di ispirazione per musicisti di tutto il mondo.