Notte di strada - Radio Bonn

Notte di strada – Radio Bonn Oggi mi sono ritrovato un regalo da Aniello Miele, il fotografo: un DVD contenente la nostra epica esibizione a Sanremo nel lontano 1990. Un vero pezzo d’antiquariato, considerando che la registrazione originale aveva passato più fasi di transizione tra analogico e digitale di quanto un camaleonte cambia colore. Un vero capolavoro del periodo 1994-1995, quando il VHS era il re indiscusso e il digitale comninciava a fare capolino. Il video, estratto con maestria da quel caro vecchio VHS, si vede molto meglio. Che emozione rivedere il giovane me stesso! Anche se, va detto, in quel momento ero il mio critico più feroce. Sempre qualcosa da ridire: il suono, la canzone, la mia performance canora, gli altri… ma chissà, magari era solo questione di tendenza. E che dire del look? Oh, sì, il “look”! Un termine che ora chiamerei “scelte discutibili” ma all’epoca sembrava la cosa giusta. Poco prima di noi si erano esibiti i depeche mode con l’anteprima di Enjoy the silence (era la prima volta che la facevano in pubblico) e Sinead ‘o Connor con “nothing compares to you”. Avevo capito che avrei dovuto muovermi meno sul palco, ma ero così teso che non riuscivo a pensare a nulla e restavo in apnea fino alla fine, per poi poter scappare prima possibile. Ero abituato a suonare sui palchi, non a fare il playback. Con noi c’era sempre Germano, con lui abbiamo condiviso tutte le nostre esperienze belle e brutte, e lui mi ha visto saltare dietro le quinte dell’Ariston per smaltire la tensione dell’eurovisione. Chiaramente, per il ruolo di “frontmen” evrei dovuto lavorarci ancora un bel po. I veri frontmen godono ogni attimo, fissano la telecamera con uno sguardo magnetico e sorridono in modo affascinante. Io, invece, sembravo più un contorsionista in difficoltà. Dopo qualche apparizione televisiva, avevo imparato la lezione. Cominciavo finalmente a guardare nella giusta direzione e a non fare movimenti da artista circense in sciopero. Si sa, sbagliando si impara. Ah, e quello con il basso nel video? Mio fratello Pasquale, scomparso nel 2020. Guardando il video, mi rendo conto che ancora non ho elaborato il tutto. L’accettazione del dolore è rimandata, probabilmente insieme a qualche movimento di troppo sul palco. Eravamo confusi e felici, anche se Pasquale aveva questa strana idea di voler sconvolgere il mondo, ma soprattutto sbancare il Casinò di Sanremo. Ma, come prevedibile, alla fine fu il mondo a sconvolgere noi. 😅 Grazie Aniello. #sanremo1990 #sanremointernational

Senghe - Almamegretta

Dopo sei anni di silenzio discografico, gli Almamegretta sono tornati con un nuovo album, “Senghe”. Il loro precedente lavoro, “Ennenne”, aveva ricevuto reazioni contrastanti, dando a molti l’impressione di una band che fosse rimasta in qualche modo inattiva, nonostante il ritorno del cantante storico Raiz.

“Senghe” ha dimostrato subito di essere un ottimo biglietto da visita, in particolare con il singolo “Figlio”. L’album esplora territori familiari agli Almamegretta, con la fusione di dub, reggae e melodia napoletana, elementi che caratterizzano da sempre il loro stile. La voce di Raiz, tra le più originali del panorama musicale italiano, continua a fare la differenza, così come la scrittura delle canzoni. Un esempio è il brano composto da Danilo Turco, che mantiene lo stile tipico degli Almamegretta con un tocco chitarristico e cantautorale, aggiungendo un elemento eccentrico ma ben integrato alle atmosfere del gruppo. Turco firma anche la musica della title-track e dell’ultima traccia “O’Campo”, arricchita da accenti di chitarra blues.

“Senghe”, titolo che evoca le fessure nei muri attraverso cui penetra la luce, non presenta sorprese per chi conosce bene gli Almamegretta, ma mantiene una coerenza con il percorso intrapreso dalla band negli anni. L’album riflette l’essenza attuale del gruppo, particolarmente inserita in una nuova scena musicale napoletana che risuona con l’approccio di fusione di stili che ha reso celebri gli Almamegretta. Molti dei nuovi collaboratori sono giovani musicisti ispirati dalla loro musica, tra cui Paolo Baldini, noto musicista dub-reggae internazionale, ora parte integrante della band come bassista, sound engineer, produttore e mixatore.

La varietà di stili proposta in “Senghe” è, come sempre, eclettica. Brani come “Miracolo” si avvicinano alla tradizione della canzone napoletana classica, mentre “Na’ Stella” rappresenta un momento memorabile, con la reinterpretazione di un brano scritto da Fausto Mesolella in onore del musicista degli Avion Travel. Raiz aveva già collaborato con Mesolella per l’album “Dago Red”, un’opera di incontri musicali e suggestioni continue.

“Homo transient” emerge con la sua world music, ispirata a un versetto biblico cantato in ebraico e dedicato ad Abramo, patriarca di popoli e civiltà, visto come un’anima migrante – un tema ricorrente nei lavori degli Almamegretta.

I brani dedicati ai sound system uniscono l’energia del dancehall reggae con influenze dub e richiami alla dance anni ’90. Le aspettative per una band che ha creato capolavori come “Sanacore” sono inevitabilmente alte, ma “Senghe” offre momenti significativi. Ciò che si apprezza maggiormente è la costante volontà degli Almamegretta di cercare nuovi stimoli e sperimentare, pur rimanendo fedeli alla propria identità e alle proprie radici.

I ritornelli – definiti da New Music Express “most explosive chorus” – che nella storia della musica hanno fatto più cantare o piangere o scatenare in pista. O tutte e tre le cose insieme.

Di seguito la Top 10 dei ritornelli più esplosivi che vede in testa gli Oasiscon “Don’t Look Back in Anger”, secondo singolo estratto della band inglese da “(What’s the Story) Morning Glory?” del 1995.

01. OASIS “Don’t Look Back in Anger”
02. THE RONETTES “Be My Baby”
03. THE KILLERS “Mr.Brightside”
04. KINGS OF LEON “Sex On Fire”
05. MUSE “Plug In Baby”
06. BLUR “Song 2”
07. ARCTIC MONKEYS “I Bet You Look Good On The Dance Floor”
08. THE STONE ROSES “She Bangs The Drums”
09. BON JOVI “Livin’On A Prayer”
10. METALLICA “Enter Sandman”

Joey DeFrancesco è morto nell’agosto del 2022, e stamattina mi sono imbattuto in un vecchio post di una sua session di I Wish , un esecuzione fantastica, dove il suo suono inconfondibile mi da sempre delle grandi emozioni.
Era un pò di tempo che non lo ascoltavo e non sapevo della sua morte. Joe è stato un organista jazz, tra i più grandi di tutti i tempi. Ha dato allo strumento un nuovo lustro sfruttandone le grandi potenzialità andando forse anche oltre. Usava la pedaliera come un jazz bass cosi solitamente nei suoi concerti non aveva bisogno di bassista. Il suono del suo Hammond, talvolta caldo e avvolgente altre volte tagliente esprimeva qualcosa di ineguagliabile dalle tastiere e dai plugins in circolazione. Certo, non è facile trovare quel suono con un hammond ed un Leslie, servono anni di esperienza sulla posizione e l’equalizzazione dei microfoni.
Non sono molti quelli che suonano l’Hammond a quei livelli, e soprattutto non sono bianchi: Eddie Howard Jr, Kyle Roussel, Cory Henry , John Peters sono degni di nota.

Joey DeFrancesco Trio “Never Can Say Goodbye” live at Java Jazz Festival 2011

Altri Organisti Jazz

Eddie Howard Jr

Qui troviamo Eddie Howard Jr in un Hammond center

Kyle Roussel Organ Trio – Live from the Jazz & Heritage Center (2018)

Cassiodoro Vicinetti
Olindo Brodi, Ugo Strappi
Sofio Bulino, Armando Pende
Andriei Francisco Poimò

Tristo Fato, Quinto Grado
Erminio Pasta, Pio Semi
Ottone Testa, Salvo Croce
Facoffi Borza, Aldo Ponche (o Punch)
Uno andò saldato
Uno vive all’estro
Uno s’è spaesato
Uno ha messo plancia
E fa il trans-aitante
Uno fa le more
Uno sta invecchiando
Perché è
Un nobile scotch

Uno fa calzoni
Dai risvolti umani
Uno ha un solo naso
Uno ha mani e polsi
Uno è su due piedi
Uno è calvo a onde
Uno si nasconde
Poi non sa
In che vano sta
Un viso ucciso dal pensiero
Un tal con voce da uccelliera
Un sostituto a sua insaputa
E un misto storie e geografie

Uno per uno li ricorda,
L’orchestra mentre si accorda
La verità viene sempre a palla
Dolce chi era sei tu

Il maestro solitario
Fischietta ariette d’oblio
(Sei tu)

I dimenticati
Ce li ha tutti in testa
Gli altri sono entrati
Chi da sé
Chi dalla finestra

C’è il direttore, l’orchestra c’è
Apparecchiati sul buffè
Son mantecati
I dimenticati

Se il pasticcino ha un senino in se
Del maraschino effetto è
Uno nel rinfresco
Pensa “È peggio se esco”

Un altro, un altro deglutisce
Volentieri gradisce
Non si capisce chi mangi chi
Non gli rincresce
“Grazie sì, grazie sì”

All’apice della sua popolarità, Lucio Battisti prese una decisione audace: abbracciare il nuovo, esplorare territori musicali inesplorati e spingersi oltre i confini della canzone tradizionale. Senza preoccuparsi del disorientamento del pubblico o dello stupore della critica, Battisti ci regalò cinque album letteralmente rivoluzionari tra il 1986 e il 1994: “Don Giovanni,” “L’apparenza,” “La sposa occidentale,” “Cosa succederà alla ragazza,” e “Hegel.”

Questa svolta fu radicale: i testi di Pasquale Panella sembravano oscure a molti, mentre la musica sembrava aver perso la sua immediatezza. I suoni elettronici dei sintetizzatori e delle drum machine dominavano le composizioni, e la voce di Battisti cantava versi enigmatici, apparentemente senza un filo logico.

Tuttavia, la realtà era diversa: le liriche erano intrise di significati stratificati, con riferimenti sia eruditi che popolari, giochi di parole intelligenti e sofisticati. La musica stessa era ricca di temi melodici incantevoli e memorabili. Le melodie di Battisti non erano mai state banali, ma durante la sua collaborazione con Mogol, erano più immediate e cristalline. Con gli album “bianchi,” Battisti chiedeva di andare oltre l’ascolto superficiale, richiedeva concentrazione in cambio di una profonda gratificazione che non poteva essere ottenuta con la musica popolare italiana tradizionale.

Il fascino di questi album risiedeva proprio nelle loro esplorazioni musicali e poetiche elusive, che richiamavano costantemente qualcosa di familiare, ma sfuggivano sempre a una piena comprensione.

Forse, dietro a questa sperimentazione, c’era anche un intento filosofico, come suggerito dal riferimento al filosofo tedesco Hegel nell’ultimo degli album “bianchi.” Le liriche esploravano l’umanità giocando con le emozioni, ma lasciavano intravedere una porta aperta alla metafisica, suggerendo l’insondabilità dell’animo umano. In alternativa, le parole del pensiero filosofico diventavano un pretesto per affrontare tematiche diverse, talvolta anche banali. Tutto ciò avveniva mentre la scelta di suoni freddi e il ritmo infallibile delle drum machine sembravano trasportare le storie d’amore e i sentimenti nell’era della tecnologia, dimostrando che nonostante l’apparente alienazione, l’umanità continuava a evolversi e ad adattarsi. Questo discorso profondo era condito dalla leggerezza delle acrobazie linguistiche che caratterizzavano lo stile di Pasquale Panella.

Questo audace tentativo di non cedere alla nostalgia, ma di vivere appieno il presente e anticipare il futuro, unito al puro piacere dell’ascolto, è ciò che emerge dai lavori più maturi di Lucio Battisti. Il cantautore ha liberato la canzone pop dalla sua gabbia convenzionale, dimostrando che la storia non solo prosegue, ma richiede anche una continua interpretazione e innovazione.

È una lezione che vale per tutti noi, ma che sembra particolarmente urgente per i suoi compatrioti, che troppo spesso si aggrappano alla nostalgia e alla ripetizione anziché abbracciare il nuovo. Queste vie facili, sebbene portino apparentemente al successo a breve termine, conducono inevitabilmente al fallimento a lungo termine.

Totalmente giocata invece sull’equivoco linguistico la canzone
“Equivoci amici”, sempre tratta dall’album “Don Giovanni”.
Tanto per segnalare 
i giochi di parole più scoperti:

andare saldato =
dovere essere saldato
andare soldato = 
partire militare

vivere all’estro = 
vivere nella fantasia
vivere all’estero = 
vivere oltre confine

spaesarsi =
perdere l’orientamento
sposarsi = 
prendere moglie

mettere plancia = 
linguaggio dei marinai
mettere pancia = 
ingrassare

fare calzoni = 
fare dei pantaloni

fare canzoni = 
scrivere canzoni

i risvolti (dei pantaloni)
i risvolti umani (delle canzoni)

La verità viene a galla = 
viene fuori
La verità viene a palla = 
al momento giusto?

French For Rabbits

I luminari newlya-pop newzelandesi French for Rabbits hanno dedicato quasi un decennio alla creazione di musica caldamente dettagliata ed espansiva insieme. “La band ha recentemente pubblicato il loro terzo album profetico, “”The Overflow””.”

L’LP arriva tramite AAA Records (NZ/AUS), Reckless Yes (UK) e A Modest Proposal (Italia) ed è disponibile in formato digitale, CD e vinile in edizione limitata. “L’album segue il loro secondo LP elegantemente dichiarato “”The Weight of Melted Snow”” e il loro break-out “”Spirits”” del 2014.”

Con accenni di psichedelia e folk – i cinque pezzi offrono musicalità magistrale, voce gossamer e narrazione attraverso le dieci tracce che celebra lo spirito degli introversi ed esprime nostalgia nel dolore climatico – con forza sobria e fragilità mozzafiato.

Nominated for the 2022 Taite Music Prize

“Ogni canzone qui è splendidamente scritta e costruita immacolatamente… l’album è impeccabile” – Tony Stamp, RNZ – The Sampler (RNZ Top Albums Of 2021)


“French For Rabbits ha creato uno spazio tra psych-folk e dream-pop, e lo occupano con tranquilla sicurezza e questa raccolta di canzoni e testi ripetuti che resistono a una lettura ravvicinata”.
– Graham Reid, altrove.co.nz