Pura new wave, quella degli inizi.
Siamo negli anni 80, Reagan è al potere con il suo “edonismo”, e il mondo attraversa un momento di assurda cecitĂ .  L’imperialismo nazionalista americano torna alle vette impensabili appena pochi anni prima, il mondo occidentale è preda del consumismo piĂą sfrenato,  i movimenti ideologici giovanili e proletari degli anni 70  sono solo un ricordo.
Quando ascoltai Doot doot la prima volta, ho visto il futuro. La sintesi FM (la yamaha Dx) era ancora da venire, tutti i suoni erano concepiti con i vecchi analogici con gli oscillatori ad onda. All’epoca c’era il fair light, la prima forma di sintesi generata da un vero e proprio PC, che  pagavi fino a 150 milioni di lire, gli americani con il moog, il Kurzweil, e la scuola della solidissima sintesi nordeuropea (la tedesca PPG wave) , quasi completamente ignorata dal mercato a favore dei colossi giapponesi, korg, yamaha, roland.

Ma rendevano benissimo l’idea.
Per quanto banale, nel contenuto, forse rispecchiando proprio la crisi dei valori del periodo, doot doot è sicuramente una pietra miliare, nella musica elettronica, passata completamente inosservata.

Da ascoltare anche I New Music, molto piĂą radicali nelle loro scelte, mentre “provano” i primi campionatori in Warp.

E’ questa gente che mi consola e mi fa ricordare perchè 10 anni fa scelsi la croce di essere un “grillino”.
L’avevo quasi dimenticato. Non certo Roberto “Figo” (), perchè dalle mie parti, nell’azienda a conduzione familiare , non è cambiato un emerito cazzo (anzi)

Haux – Seaside

Non mi va di pensare.
Ne di tirare le somme, scoprire chi vince e chi perde.

Ma una cosa la so: Tu non hai vinto e non vincerai,
perché in tanti sono testimoni di quello che fai,
tu e il tuo fottuto sistema di complicitĂ 
basato sul familismo amorale e i suoi “simpatizzanti”.
Tu non hai vinto, perché non si vince occultando la verità e le persone
sporcandole a tutti i costi per continuare nei tuoi traffici.
Non si vince quando non si lascia niente
che valga la pena ricordare,
Non vinceresti nemmeno se trasformassi la mia vita
in una parete a picco, da scalare con le mani,
perchè non puoi fermare i fiumi, ne contenere il mare.
Rappresenti la maledizione del nostro tempo,
un brutto vecchio strascico che tende ad amplificarsi,
perpetrando all’infinito il tuo modo di agire e pensare,
facendolo diventare “sistema”.
Nel frattempo mi ispiri.

In quei treni sono passati tanti sogni, tante speranze, tante generazioni, tante vite.Per tanto tempo è stata l’unica cosa che ci collegava al mondo esterno, per certi versi, l’unica via di fuga verso le proprie aspirazioni, per altri una comoda sponda di un fiume che scorre dove sedersi ed ispirarsi.Dev’essere bello sedersi ad osservare, per capire gli altri, dai dettagli, dal modo di incedere, dalle espressioni del volto, da una ruga. Puoi assaporare l’attesa.
Mi piacerebbe avere il tempo per farlo. In quei treni la vita si ferma, almeno fino alla tua fermata.

Je song’ ‘o popolo

felice iovino

je song”o popolo
so a base e sta piramide
e piglio cavece si m’arrampico
… ma po care
je songo ‘e lacreme
ca scenneno dint”o scure
je song ‘o nord, ‘o sud
e ‘a fabbrica ca chiure
Song”a bulletta
ca te studìe a tre semmane
e song”o stato ca te sfrutta
e te mantene ‘e mmane
je songo arraggia che
te saglie chiane chiane
je so chill’attimo
“che aret nun se torna”
je song”o specchio
ment stai currenne
co core ca te fuje a piette
l’ultima faccia che vire,
e che vulisse cancellĂ 
je song o tiempe, so l’aria,
so stu peso ca siente,
Je songhe a vita,
ca pe te nun vale niente
je so a rinuncia
e chille ca s’arrenne
e so colpevole quanne
“figlieme è innocente”
je so sta ruga
che jere nun tenive
je songhe o sanghe
e so o sudore
je song o popolo
e nun tengo addore

felice iovino

trad.
io sono il popolo
in fondo alla piramide
io prendo calci
se mi arrampico
ma poi cado
sono le lacrime
che scendono nel buio
io sono il nord, il sud
sono la fabbrica che chiude
sono la bolletta
che sta li da settimane
sono lo stato che ti sfrutta
e che lega le tue mani
sono la rabbia
che ti sale piano piano
io sono quel giorno
e sono l’attimo
che indietro non si torna
Sono lo specchio mentre scappi
con il cuore in gola
l’ultima faccia che vedi
e che vorresti cancellare
sono il tempo, l’aria,
il peso che ti senti
sono la vita
che per te non vale niente
sono la rinuncia
di chi si arrende
sono colpevole quando
“mio figlio è innocente”
sono la ruga
che ieri non avevi
sono sangue e sudore
io sono il popolo
e non ho odore

Annalisa e Lello, una storia vera, insieme da sempre, entrambi docenti universitari, rivoluzionari e pionieri di nuovi linguaggi e tecnologie. Conosco Annalisa dai tempi della tv sperimentale sulle reti private, e con lei testavamo nuovi linguaggi, quelli che sarebbero poi diventati quelli della rete (viralitĂ  etc…).
Quando Lello mi ha chiesto di realizzare “il disegno di Manara” non ho avuto nessun dubbio: “non chiamiamo modelle, il Disegno di Manara è Annalisa Buffardi “. Non è stato facile convincerla ma credo abbia dato al racconto lo spessore che solo la realtĂ  può dare.
Grazie a Lello e Annalisa.