Bartolomeo Pepe (Napoli, 3 novembre 1962) è un politico italiano.

Tra le 12000 cose che non avrei mai sospettato facendo il “grillino” agli inizi c’è quella di aver dovuto votare successivamente per personaggi simili. Questa è stata la vera grande debolezza del movimento. E’ quella cosa che poi ti fa guardare con sospetto l’altro attivista, che instaura una sorta di polizia interna, spesso sostenuta proprio da questi personaggi, che hanno l’unica grande dote di trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto, essendo motivati da ambizione personale smodata, vincono tutte le competizioni contro coloro che guardano la politica come mero fenomeno di partecipazione ed indirizzo.
Alla fine ti ritrovi questi personaggi a rappresentarti che non corrispondono affatto al tuo ideale di politico.
Queste sono state le dinamiche dei meetup, dove al grido di uno vale uno, gruppetti ben organizzati e numerosi, hanno prevalso su chi credeva nel cambiamento.
Molti degli “eletti” se non sono passati ai gruppi misti, hanno smesso di dialogare con i gruppi che li hanno nominati, non rispondono più al telefono, non ricambiano il follow su twitter, hanno smesso di accettare amicizie sui profili facebook.
Qualche anno prima sedevamo allo stesso tavolo a raccontare il nostro sogno di un paese libero da corruzione, criminalità, giusto ed equo.
Bartolomeo Pepe è un simbolo, ed è uno dei tanti, partito dalle scie chimiche e finito in parlamento, per poi dileguarsi in altri gruppi politici.


Qui è in Corea del Nord con Antonio Razzi nel 2017, me l’ero perso.
Quando si doveva massacrare il movimento è diventato una leccornia per tutti i giornalisti.

“Dittatura in Corea del Nord? Me pare na strunzata”

Qui collega i vaccini all’autismo, e alla mafia.

L’1% dei più ricchi al mondo ha accumulato il 43% di tutta la ricchezza mondiale.
Oggi si parla molto dell’ineguaglianza, e del fatto che l’1% dei più ricchi abbia così tanto di più di tutti gli altri. Il discorso però è focalizzato soprattutto sugli Stati Uniti, mentre sembra che la situazione dell’ineguaglianza sia molto simile anche a livello globale. Questi sono i risultati di una serie di ricerche fatte su fonti affidabili, come ad esempio le Nazioni Unite. Mentre risulta che le cose siano decisamente sbilanciate negli Stati Uniti, la situazione è addirittura peggiore se si guarda al mondo intero. Cominciamo con questo grafico, che rappresenta una distribuzione perfettamente equilibrata delle ricchezze fra tutte le persone viventi, divise in cinque gruppi uguali fra loro. Vediamo adesso quanto ciascun gruppo veramente possiede rispetto agli altri. L’80% della popolazione mondiale non ha praticamente nessuna ricchezza. È addirittura difficile vederli, nel grafico. Mentre il 2% fra i più ricchi possiede più ricchezze di metà del resto del mondo. Guardiamo il grafico in un altro modo. Prendiamo l’intera popolazione mondiale, 7 miliardi di esseri umani, e riduciamola ad un numero di 100 individui che li rappresentino tutti. Eccoli qua. La gente più povera è a sinistra, la più ricca a destra. Vediamo ora come è distribuita la ricchezza totale del mondo, circa 223 mila miliardi di dollari. La stragrande maggioranza della gente non ha praticamente nulla. Nulla con cui pagare l’educazione ai propri figli, nulla con cui comprarsi le medicine più essenziali. Mentre l’1% dei più ricchi ha accumulato il 43% di tutta la ricchezza mondiale. L’80% alla base, nel frattempo, dispone di circa il 6% delle ricchezze mondiali, da dividersi fra loro. Ma nemmeno questo mostra quanto estrema sia diventata la situazione. Le 300 persone più ricche di questa terra hanno la stessa ricchezza dei 3 miliardi di persone più povere della terra. In altre parole, un gruppo di persone che può stare dentro un aereo di medie dimensioni, possiede più ricchezza dell’intera popolazione dell’India, della Cina, degli Stati Uniti e del Brasile messe insieme La differenza si vede anche geograficamente, con uno scarto sempre maggiore tra le poche nazioni più ricche e il resto del mondo. Per la maggior parte della storia, le cose sono state molto più equilibrate. Duecento anni fa le nazioni più ricche erano soltanto tre volte più ricche di quelle più povere. Alla fine del colonialismo, negli anni 60, erano 35 volte più ricche. Oggi sono circa 80 volte più ricche. Le nazioni più ricche cercano di compensare la differenza, offrendo aiuto alle nazioni più povere: circa 130 miliardi di dollari all’anno, che sono una bella cifra. Ma allora, perché lo scarto a livello mondiale continua a crescere? Uno dei motivi è che le grandi corporation tolgono alle nazioni più povere circa 900 miliardi di dollari all’anno, attraverso una forma di frode fiscale basata sulla manipolazione dei prezzi nel commercio. Oltre a questo, le nazioni più povere pagano circa 600 miliardi di dollari all’anno di debito alle nazioni più ricche, su prestiti che vengono ripagati molto più di una volta. E poi ci sono i soldi che le nazioni povere perdono a causa delle regole sul commercio imposte delle nazioni più ricche, che grazie a queste regole hanno un più facile accesso alle loro risorse e ad una manodopera a basso costo. Gli economisti dell’università del Massachusetts hanno calcolato che questo venga a costare alle nazioni più povere circa 500 miliardi di dollari all’anno. Se si mette tutto insieme, risultano circa 2 mila miliardi di dollari che fluiscono ogni anno dalle nazioni più povere verso quelle più ricche. I governi delle nazioni più ricche amano dire che vogliono aiutare le più povere a svilupparsi, ma chi sta veramente aiutando chi a svilupparsi, a questo punto? Questo fa pensare che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nelle regole fondamentali dell’economia globale. Non può essere giusto che la ricchezza del nostro pianeta sia stata tutta concentrata in questo modo nelle mani di un numero così ridotto di persone. L’unica soluzione ragionevole, e l’unica speranza, sembra essere quella di cambiare le regole.

Vedi anche: LA RICCHEZZA È APPANNAGGIO DI POCHI: SARÀ POSSIBILE INVERTIRE LA TENDENZA

Propaganda Salvini

Non c’è da stupirsi: nel pieno della confusione collettiva legata all’emergenza coronavirus, c’è chi non perde occasione per speculare sulla paura. Matteo Salvini, il maestro della propaganda, torna puntuale all’appuntamento con il caos. Per lui, ogni crisi è una potenziale opportunità elettorale, e la salute pubblica sembra interessargli solo in funzione del prossimo sondaggio.

Oggi mi sono imbattuto in uno dei suoi ennesimi post allarmistici su Twitter. Ha fiutato la notizia dell’arrivo del virus anche in Italia e, come un esperto di marketing del panico, ha subito colto la palla al balzo per lanciare l’ennesimo messaggio ansiogeno. Il pubblico? Quello stesso popolo che, dai tempi della TV generalista berlusconiana, si è semplicemente spostato sugli schermi degli smartphone — e ora riceve la dose quotidiana di paura direttamente dal profilo di Matteo.

Salvini è un trasformista: comunista, fascista, populista, purché funzioni. L’importante è mantenere alto l’engagement. È figlio della televisione commerciale, uno che in un’altra vita avrebbe venduto pentole con Mike Bongiorno. E con lo stesso entusiasmo.

Il suo modus operandi ricorda certe figure locali: come quel sindaco del mio territorio che tiene ancora accese le luminarie natalizie nonostante sia quasi febbraio. Un gesto che sfida ogni logica di risparmio energetico, ma utile a mantenere viva l’illusione e l’ego. Recentemente premiato da un portale online come “miglior sindaco”, sarebbe capace di tutto per una comparsata in TV — magari anche pagandola il doppio della tariffa normale.

Alla fine, sembra proprio che l’Italia sia ancora popolata da “italioti” con l’anello al naso. E in fondo, Silvio ci aveva visto lungo.

#mavevulitescetà?

Li ricordo bene, quei tempi. Ricordo soprattutto la sensazione di liberazione, quasi fisica, che ho provato. Eravamo – e siamo ancora – un Paese corrotto, ma allora la corruzione era talmente sfacciata da essere visibile a occhio nudo. Quell’atteggiamento era la norma, e la vera eccezione era quel magistrato contadino che si vestiva da fesso e aggiungeva, come si dice, “scarpe grosse e cervello fino”. Forse ignorava, o faceva finta di ignorare, i tanti fattori che avevano reso possibile la sua inchiesta. Ma questa è un’altra storia.

Fatto sta che, dopo anni di razzie, finalmente quella melma venne portata alla luce.

Al Sud, l’assalto alla diligenza era ancora più palese: ogni volta che c’era un bottino pubblico da spartire, la politica e la criminalità organizzata si fondevano in un unico, disgustoso abbraccio. Nemmeno si sforzavano di salvare le apparenze. Sapevano che quel mix di ostentazione del potere, ricchezza sfacciata e intimidazione al voto garantiva il successo elettorale. E il successo elettorale portava altro denaro pubblico da divorare.

E infatti i soldi cadevano a pioggia su chiunque partecipasse al banchetto. Il terremoto dell’Irpinia non era lontano: nullafacenti si costruivano ville, giravano con auto di lusso, e nessuno controllava niente. Le faide erano continue: si combatteva per le carcasse già spolpate dalla politica.

Attorno a quei resti vigeva la legge del più forte. Ogni clan cercava il pezzo più succulento, e chi osava protestare finiva ammazzato. Questa è la fottuta storia che nessuno vi racconta, perché, in fondo, non è cambiato nulla. La storia della Prima Repubblica non è mai finita. Sono cambiati i volti, i metodi, le narrazioni, ma la sostanza è rimasta identica: corruzione, corruzione, corruzione.

Anzi, quel breve spiraglio di luce nella storia repubblicana fu probabilmente voluto da chi tramava nell’ombra: la P2 e le mafie scrissero la storia successiva, cancellando una classe politica figlia della Costituente che aveva già tradito i padri fondatori, vendendo i loro principi in cambio di conti nei paradisi fiscali.

Quel sistema, che Di Pietro fece solo vacillare, lasciò in eredità una rete impenetrabile di clientele e cellule dormienti nei punti chiave della società. Sono loro – dirigenti, funzionari, giornalisti – la spina dorsale dell’establishment. Mantengono in equilibrio un meccanismo che garantisce privilegi infiniti, riportando tutto sempre al punto di partenza, nelle mani di chi può assicurare la stabilità del loro status.

Finché questa rete resterà in piedi, nessuna rivoluzione sarà possibile in questo Paese.
E chi vorrà davvero cambiare le cose dovrà ricordarsi una sola regola: non si fa patti con il marcio. Perché il marcio, prima o poi, ti divora.

E mentre vi scrivo, nelle sale cinematografiche proiettano Hammamet, un film che cerca di ripulire l’immagine di Bettino Craxi, raccontandone l’esilio nella villa tunisina dove sarebbe morto poco dopo.

Morì da latitante, con due condanne definitive sulle spalle: 5 anni e 6 mesi per corruzione nell’inchiesta Eni-SAI e 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito della Metropolitana Milanese. Eppure, c’è ancora chi lo chiama “statista”.

Questo è il Paese che siamo. Questo è il Paese che fingiamo di non vedere.

Benedetto Craxi Il testamento inedito

MONTANELLI TANGENTOPOLI

Diretta La Repubblica

Il voto minuto per minuto. A partire dalle 22.45 la diretta di RepTv per analizzare l’esito delle elezioni Regionali in Emilia-Romagna e Calabria e le sue conseguenze sulla maggioranza e il governo. Dalle 23 gli exit poll, seguiti alle proiezioni e dalla spoglio in tempo reale. Il flusso dati sarà decifrato con commenti a caldo, collegamenti con gli inviati, interviste. In studio il direttore Carlo Verdelli e Laura Pertici, insieme alle firme del nostro giornale: Concita De Gregorio, Ilvo Diamanti, Stefano Folli, Massimo Giannini, Gad Lerner, Francesco Merlo, Sergio Rizzo, Claudio Tito. Dalla redazione politica, Stefano Cappellini e Annalisa Cuzzocrea, dal sito Alessio Sgherza, dalla redazione di Bologna Giovanni Egidio. E poi gli inviati nelle piazze del voto: Paolo Griseri, Carmelo Lopapa, Giuseppe Smorto.

Comitato Bonaccini

Comitato Borgonzoni

“Quella citofonata ridicola e quasi goliardica è un atto violento, istiga a poterlo fare”. Con queste parole Roberto Saviano commenta nel format “My Way” per Fanpage.it l’ormai famosa citofonata che Matteo Salvini ha fatto a casa di un presunto spacciatore di Bologna e mentre era in diretta su Facebook. Per lo scrittore  “questo è un punto di non ritorno per la nostra democrazia. Su quella citofonata si faranno molti ragionamenti in futuro, molte analisi partiranno da quel momento, il momento in cui la democrazia italiana inizia a perdere le sue garanzie. E tutto è un infinito e squallido teatro di propaganda”. 

Bologna, parla il presunto spacciatore citofonato da Salvini: “Ho 17 anni, non è vero che spaccio”

Durante un blitz a Bologna, nel quartiere periferico del Pilastro, il leader della Lega, Matteo Salvini, ha citofonato alla casa di una famiglia di origine tunisina accusata, da una residente della zona, di spacciare droga. Tutto è avvenuto in diretta su Facebook, coi nomi delle persone coinvolte ripetuti più volte. “Ho 17 anni, faccio la vita di qualsiasi altro studente” dice il giovane indicato come presunto spacciatore. “Ho precedenti, ma sono pulito da un bel po’” aggiunge suo fratello maggiore, che fra l’altro non vive più nella zona già da tempo. 

Salvini al citofono, Marco Travaglio: “E’ come i testimoni di Geova, mette inquietudine. …

Citofonata al Pilastro, Salvini al videomaker di Repubblica: “Gente che difende gli spacciatori”

Dopo aver visitato la casa circondariale di Bologna, Matteo Salvini è ritornato sulla vicenda del ragazzino a cui ha citofonato al Pilastro. Secondo l’ex ministro dell’Interno, che ha mostrato in diretta Facebook l’abitazione e il cognome del ragazzo minorenne, accusato di essere uno spacciatore, non ci sarebbe alcuna violazione: “Se c’è una mamma che combatte da anni violenza, sopruso e spaccio di droga è mio dovere essere al fianco di queste persone e segnalare un problema, se non è uno spacciatore non ha nulla da temere”. Andando via Salvini ha aggiunto: “Qui c’è gente che difende gli spacciatori” .di Valerio Lo Muzio