Chissà che facce tirate nei salotti buoni, tra un editoriale imbellettato e una cena di gala. Chissà quanta ipocrisia si sparge tra le righe dei quotidiani più “seri”, quando un piccolo uomo come Matteo Salvini viene incoronato con il Premio Italia–Israele.
Sì, proprio lui. L’ometto rigido come un soprammobile di plastica, sospeso perennemente tra il selfie in spiaggia e l’ossessione securitaria. Proprio a lui l’onore, la targa, la carezza sul capo da parte dell’ambasciatore Jonathan Peled, come se stessimo premiando un salvatore e non il portavoce entusiasta di un massacro.

Lo chiamano “coraggio di prendere posizioni di rottura”.
Rottura del diritto internazionale. Rottura delle convenzioni di Ginevra. Rottura della decenza.

Mentre a Gaza i bambini morivano soffocati tra le macerie, mentre l’odore del fosforo bianco impregnava l’aria, a Roma si consumava questa piccola sceneggiata da estetica dell’osceno. Salvini, con la stessa espressione compiaciuta di chi indossa l’ennesima felpa promozionale, sorrideva. E intanto i bulldozer, lontano dalle luci della cerimonia, radevano al suolo ospedali, scuole, ambulanze.


La grammatica dell’orrore

C’è sempre una frase pronta, un mantra prefabbricato.

“Non si possono mettere sullo stesso piano una democrazia e un gruppo terroristico.”

Israele, la “democrazia”. Hamas, il “terrorismo”. E in mezzo?
In mezzo ci sono centinaia di migliaia di civili schiacciati sotto bombe intelligenti, incubatrici spente, file per il cibo crivellate dai proiettili. Ma per Salvini questi sono dettagli collaterali, roba da footnote nella sua narrazione binaria.

Chi osa ricordare che Gaza è un carcere a cielo aperto viene bollato come “fascista”. Fascisti Amnesty International? Fascisti i medici che estraggono neonati senza braccia dalle macerie? Fascisti persino quelli che, dentro le Nazioni Unite, osano parlare di crimini di guerra? È la magia dell’illusione selettiva: basta pronunciare “Hamas” e puff, 370.000 morti evaporano dietro una bandiera blu e bianca.


La premiazione della vergogna

Il premio è stato consegnato nella Sala della Camera dei Deputati, nel cuore della democrazia italiana. Ecco il punto: non è solo Salvini. È l’istituzione stessa che si piega, che offre un palcoscenico alla legittimazione del massacro. Non c’è più neanche il pudore di nascondersi.

Non stupisce. Salvini ha costruito tutta la sua carriera aderendo all’inumano:

  • Ha lasciato marcire bambini in mare.

  • Ha criminalizzato chi salva vite.

  • Ha trasformato il dolore in spot elettorale.

Oggi riceve una medaglia che non unisce, ma divide. È la medaglia dell’Occidente impazzito, quella che premia chi resta in silenzio mentre i bambini muoiono, e applaude mentre qualcuno li uccide.


Complicità, cipria e vergogna

Chi lo premia, chi si gira dall’altra parte, chi minimizza, è complice. Alcuni con più esibizionismo, altri con più cipria e buone maniere. Ma complici lo stesso.

A chi resta un briciolo di lucidità non resta che vergognarsi. Non di sorpresa, ma per coscienza. Perché questa pantomima è il ritratto perfetto del nostro tempo: un tempo in cui la democrazia si autopremia mentre schiaccia, in cui il colonialismo si reinventa come “diritto alla difesa”.

E noi?
Noi restiamo qui, a contare i morti e a scrivere parole che, forse, non basteranno. Ma almeno non taceranno.

Propaganda Salvini

Non c’è da stupirsi: nel pieno della confusione collettiva legata all’emergenza coronavirus, c’è chi non perde occasione per speculare sulla paura. Matteo Salvini, il maestro della propaganda, torna puntuale all’appuntamento con il caos. Per lui, ogni crisi è una potenziale opportunità elettorale, e la salute pubblica sembra interessargli solo in funzione del prossimo sondaggio.

Oggi mi sono imbattuto in uno dei suoi ennesimi post allarmistici su Twitter. Ha fiutato la notizia dell’arrivo del virus anche in Italia e, come un esperto di marketing del panico, ha subito colto la palla al balzo per lanciare l’ennesimo messaggio ansiogeno. Il pubblico? Quello stesso popolo che, dai tempi della TV generalista berlusconiana, si è semplicemente spostato sugli schermi degli smartphone — e ora riceve la dose quotidiana di paura direttamente dal profilo di Matteo.

Salvini è un trasformista: comunista, fascista, populista, purché funzioni. L’importante è mantenere alto l’engagement. È figlio della televisione commerciale, uno che in un’altra vita avrebbe venduto pentole con Mike Bongiorno. E con lo stesso entusiasmo.

Il suo modus operandi ricorda certe figure locali: come quel sindaco del mio territorio che tiene ancora accese le luminarie natalizie nonostante sia quasi febbraio. Un gesto che sfida ogni logica di risparmio energetico, ma utile a mantenere viva l’illusione e l’ego. Recentemente premiato da un portale online come “miglior sindaco”, sarebbe capace di tutto per una comparsata in TV — magari anche pagandola il doppio della tariffa normale.

Alla fine, sembra proprio che l’Italia sia ancora popolata da “italioti” con l’anello al naso. E in fondo, Silvio ci aveva visto lungo.

#mavevulitescetà?