Siamo al 20 febbraio 2017. Il congresso del Partito Democratico si è appena concluso, il partito si è spaccato, e tutti i mezzi di comunicazione riportano a caratteri cubitali una parola: “MINORANZA”, quella usata da Renzi nel suo discorso. Qualcuno aggiunge, con tono sprezzante: “Una minoranza che nessuno seguirà”.

Sono momenti in cui ringrazio l’esistenza della rete, pensando a quando il potere di chi controllava l’informazione era praticamente assoluto. Oggi, con un po’ di olio di gomito, si riesce a decifrare il metodo della propaganda, ancora saldo nelle mani dei poteri forti, che muovono i burattini sul teatrino della politica.

La rete non dimentica. Non è come i mezzi tradizionali, che usano l’oblio come strumento. La rete scolpisce nel marmo ciò che dici, ed è sempre pronta a presentarti il conto, quando serve. Più impari a conoscerla, più il fossato con la vecchia comunicazione – e con i suoi interpreti – diventa profondo, incolmabile.

E allora riaffiorano i ricordi. Emilio Fede, Bianca Berlinguer, Bruno Vespa, Paolo Liguori, e tantissimi altri che, in modo più o meno esplicito, hanno partecipato al grande gioco del potere degli ultimi sessant’anni, mettendoci la faccia per conto terzi.

Avere una certa età dà dei vantaggi. Tra questi, c’è la memoria dei media.
Naturalmente, per svilupparla devi essere stato sempre “dall’altra parte”, devi aver visto come manipolano la verità. Come riescono a mentire spudoratamente, a rappresentare l’esatto contrario di ciò che hai sotto gli occhi, con una sistematicità quasi chirurgica.

Certo, c’è sempre qualcuno che ci casca. C’è chi ci è cascato con il PCI, con i DS, con il PD, e perfino col M5S – almeno per un po’. Ma se hai capito i metodi della propaganda, nelle “rivoluzioni all’italiana” non ci metti molto a comprendere che, spesso, chi muove i fili ha solo cambiato squadra di burattini al proprio servizio.

Questa diffidenza, maturata ai tempi della “balena bianca”, è un dono civile. Lo è stato durante il ventennio berlusconiano, continua a esserlo oggi nell’appendice renziana – che non è altro che una variante del berlusconismo.

In questo gioco, le parole sono tutto. “Minoranza che nessuno seguirà” è una frase costruita per isolare i dissidenti. È un titolone partito dal cuore delle lobby, passato per le mani dei direttori di testata e stampato in prima pagina dai quotidiani di regime, amplificato dai titoli dei telegiornali – finanziati, paradossalmente, dallo stesso popolo che disprezzano.

E poi le bufale sulla Raggi. La distorsione sistematica della realtà. Quando la vecchia politica, con migliaia di indagati in tutte le amministrazioni d’Italia, resta indisturbata, migliaia di giornalisti assediano il Campidoglio per un semplice sospetto di corruzione, creato ad arte da qualche burocrate pilotato da chissà chi. È una scena già vista a Parma, a Quarto, e in ogni luogo dove il M5S governa.

Il risultato? Far dire ai soliti imbecilli lobotomizzati: “Eh, ma a Roma? Hai visto cosa combina la Raggi?”. Io di solito rispondo: “No. Ho visto solo il turbinio della stampa, senza vergogna, alla ricerca disperata di qualcosa da portare ai propri padroni”.

Nel frattempo, migliaia di veri corrotti, negli altri partiti, nelle amministrazioni di tutta Italia, continuano indisturbati nell’anonimato. Quando li scoprono, i giornali li citano in trafiletti in diciottesima pagina, senza mai nominare il partito di appartenenza.

Ecco perché, nella classifica dei Paesi più corrotti al mondo, siamo sempre tra i primi posti. Non solo per chi ruba, ma anche per una stampa che preferisce avere un padrone piuttosto che raccontare i fatti.