Mentre in Italia un giovane deve collezionare master, stage non pagati e raccomandazioni di seconda mano per guadagnarsi uno stipendio da sopravvivenza, c’è chi con un solo cognome riesce a sedersi su una poltrona da 230mila euro l’anno.

Geronimo La Russa – sì, quel La Russa, figlio della seconda carica dello Stato – è stato eletto presidente dell’Automobile Club d’Italia con un plebiscito annunciato. Un ente pubblico non economico che gestisce milioni di euro, controlla l’Autodromo di Monza e Sara Assicurazioni, e incassa da tasse e iscrizioni di automobilisti già tartassati.

La scena è sempre la stessa: l’Italia che arranca, i ragazzi che fuggono all’estero per trovare dignità, e i “figli di” che scalano poltrone come se fosse il loro naturale diritto di nascita. Perché sì, qui non si parla di meritocrazia: qui parliamo di familocrazia.

C’è chi dice: “Ha le competenze”. Certo. Come no. Peccato che, guarda caso, proprio pochi mesi fa sia stato approvato un emendamento che modificava i limiti di mandato del presidente ACI, aprendo la strada alla sua elezione. Un colpo di scena degno di una sceneggiatura già scritta.

Nel frattempo, il Movimento 5 Stelle e parte delle opposizioni urlano allo scandalo. “230 mila euro per un figlio di papà!” Ma tranquilli, il governo minimizza: è tutto perfettamente legale.

E noi? Noi cittadini assistiamo a questo teatrino, pagando bollo, superbollo e assicurazioni salate, mentre qualcuno incassa un compenso pari a 10 anni di stipendi di un operaio.