Nei giorni scorsi è spuntata fuori una proposta assurda: aumentare automaticamente le tariffe telefoniche in base all’inflazione, senza nemmeno darci la possibilità di dire “no, grazie” e cambiare gestore. E come se non bastasse, volevano anche autorizzare la vendita dei nostri dati. Sì, i nostri numeri, le nostre abitudini, la nostra privacy… tutto messo sul mercato.
Hanno provato a farla passare in sordina, ma la protesta è stata forte. Alla fine l’hanno ritirata. Ma il problema non è risolto. Perché è sempre il solito copione: le difficoltà ci sono, certo — ma invece di affrontarle con serietà, questo governo le scarica addosso a noi cittadini. E poi le maschera con la solita propaganda.
È vero: chi opera nelle telecomunicazioni è carico di oneri. Deve pagare per usare le numerazioni, identificare ogni utente con documenti, gestire reclami anche per disservizi non propri — come app o telefoni che non funzionano.
Nel frattempo le grandi piattaforme — WhatsApp, Telegram, Google, Meta — usano i numeri telefonici come chiave d’accesso, offrono servizi alternativi, fanno profitti sui nostri dati… e non pagano quasi nulla.
C’è uno squilibrio? Sì, evidente. Ma non è una buona ragione per colpire chi sta nel mezzo: noi.
Perché la verità è che questa non è una guerra tra buoni e cattivi. È una guerra tra giganti, tra le telco e i colossi digitali, che si disputano miliardi di euro di dati, utenze, pubblicità. Ognuno difende il proprio profitto.
E noi? Noi non siamo né clienti da spremere né pacchi da vendere. Siamo persone. E questa partita non possiamo pagarla noi.
Non paghiamo WhatsApp, non paghiamo Telegram. Ma nemmeno li abbiamo mai chiesti come alternativa agli SMS a 20 cent. È il mercato che è cambiato, e chi ci governa dovrebbe regolare, non fare favori.
Ogni volta che il sistema va in crisi, cercano soldi dove è più facile trovarli: nelle tasche di chi ha meno voce per protestare.
E quando arriva il malcontento? Lo gestiscono con slogan, titoli a effetto e colpi di teatro.
Ma noi non ci caschiamo più.
Non vogliamo essere spettatori di un teatrino.
Vogliamo un governo che protegga, che ascolti, e che finalmente abbia il coraggio di dire ai poteri forti: stavolta no.
Smettetela di trattarci come bancomat.


