La camorra bianca è l’appartenenza a  gruppi, solitamente familiari, che esprimono la loro egemonia su un territorio o in un contesto ben definito, in concorrenza con altri soggetti, estranei ai gruppi che in equilibrio tra loro esprimono tale dominio.
E’ una mentalità, tipicamente meridionale e campana, un modo di essere, che preclude a qualsiasi forma di sviluppo estraneo, spesso uccidendo da dentro qualsiasi forma di azienda o aggregazione sociale. Qualsiasi tipo di evoluzione non è concepibile se non è alla portata dei membri di quei gruppi.
Quando un organismo, e spesso si tratta di aziende pubbliche, si regge su tali equilibri, i valori sono capovolti, in quanto contano di più di ogni cosa,  i legami di sangue e  di collusione. Solitamente l’organismo fa fatica ad accettare elementi esterni, che nella maggior parte dei casi, vengono vessati, oscurati, messi in cattiva luce, anche e soprattutto quando esprimono conoscenze e meriti. Inutile dire che i soggetti appartenenti a tali nuclei, fuori da quel contesto non avrebbero lo stesso peso. L’integrazione con soggetti esterni è ben selezionata, con elementi allineati da interessi comuni, e serve a dare al “sistema” l’apparenza di una “composizione mista”.

 

“Milano carabinieri e polizia che ti guardano severi, chiudi gli occhi e voli via”, cantava un tempo Lucio Dalla.

A Napoli invece, ci si puo permettere il lusso di entrare in un quartiere su motorini e sparare  all’impazzata a scopo dimostrativo, per il solo gusto di farlo e per attestare il proprio dominio su un territorio. No, non siamo a Milano, ma forse non siamo nemmeno in Italia. Siamo forse in Colombia, Bolivia, dove forse è meglio non chiamarla la polizia.
Il fenomeno potrebbe essere scongiurato, con una presenza massiva, con marcamento a zona delle numerosissime forze di polizia parallele che operano sul territorio, l’utilizzo delle nuove tecnologie, insomma non è possibile che si possa dare delle dimostrazioni continue alla gente e allo Stato restando impuniti.  Genny Cesarano, colpito da un proiettile vagante, con 18 bossoli intorno, rione traiano centinaia di bossoli sull’asfalto, un bambino colpito di rimbalzo a Marano da un azione dimostrativa, che i delinquenti chiamano ironicamente “la stesa”, perchè quando arrivano con i motorini ed il Kalasnikov, tutti si stendono a terra per la paura di essere colpiti.
E la cosa più nociva non è il raid armi in pugno, ma il terrore psicologico, la sensazione di sudditanza, l’ostentazione di onnipotenza che questi delinquenti spargono sul territorio. Ci vorrebbe una risposta dello Stato altrettanto plateale, con tanto di “stesa” con la faccia sull’asfalto dei delinquenti, nella stessa piazza, fatta con una giustificata violenza da parte delle forze dell’ordine, insomma una figura di merda che dissuada altri stupidi a compiere azioni analoghe, facendo crollare il mito dell’eroe imprendibile a queste persone.
Eh già… se fosse cosi semplice non si chiamerebbe camorra, ma semplicemente “criminalità”. Sta di fatto che a questo punto dovremmo procurarci tutti un mitra e sperare nella legittima difesa, o per morire almeno in combattimento e non come un povero imbecille che  si è sentito protetto dalle forze dell’ordine,  attente al tuo tagliando dell’assicurazione, che costa 7 volte la cifra che pagheresti a Milano.
Il bello è che quando resti sull’asfalto con un proiettile in testa  (se non abiti in collina) si va ad indagare sulla tua vita, e pure se ha una multa non pagata, diventi un morto di serie B, un regolamento di conti, liquidato con un bel “lasciamoli ammazzare tra loro”, nella più totale indifferenza. Questa scia di sangue va fermata, chi uccide deve scontare un ergastolo, anche quando il bersaglio è il piu feroce dei killer.
Ieri sera l’ennesimo episodio di arroganza, uno sputo in faccia alle istituzioni: un esecuzione ad Acerra alle 21  tra la folla. Vittima un 57enne, Adalberto Caruso, freddato su una panchina di piazza San Pietro con un solo colpo alla testa. Ovviamente nessuno ha visto niente.

Aylan è  vivo, dentro tantissima gente, dentro di me sicuramente. La sua immagine, su quella spiaggia dove il mare lo ha restituito, la porterò con me per sempre.
Certo, questo non riporterà Aylan in vita, ma a molti darà ancora più energia nella lotta contro il razzismo, l’intolleranza, la strumentalizzazione per scopi elettorali del fenomeno migratorio.
Prima eri un clandestino, extracomunitario, immigrato,  hanno dovuto vederti morire per capire che eri solo un bambino.
Non potevi  sapere dei traffici di vite umane, dei desideri, quasi sempre disillusi, lasciati in una stiva, che  ripartorisce gli uomini ogni volta. Tu non sei rinato, non ce l hai fatta, ma sei vivo, più forte che mai, diventerai un simbolo, il simbolo di chi arriva e  di chi accoglie, e di un sentimento oramai sopito, la pietas, quel rapporto affettuoso e doveroso che un tempo univa gli uomini, e che i Romani elevarono al rango di divinità. Anche per questo sei vivo, sei li a testimoniare, grande come la statua della libertà, che in quelle stive, nei centri di accoglienza, nel contatto con le forze di polizia ci sono delle persone, che vanno rispettate, anche prima che muoiano.

feliceiovino